sabato 30 agosto 2008

A Lima la gara più bizzarra del mondo: le mamme in una mega-maratona di allattamento al seno

Una mamma con due gemelli (foto Karel Navarro - Ap)

LIMA (27 agosto) - Non diventerà mai uno sport per le Olimpiadi, ma sarà sicuramente ricordata fra le gare più pazze del mondo: stiamo parlando della mega-maratona di allattamento al seno, che si è tenuta martedì in Perù. Centinaia di mamme con i loro bambini si sono date appuntamento a Lima per partecipare alla gara indetta dal ministro della Sanità peruviano, Hernan Garrido Lecca.

L'iniziativa ha inaugurato la settimana nazionale di celebrazioni che punta a promuovere proprio l'allattamento che, secondo i medici, darebbe benefici fisici ed emotivi sui neonati nei primi mesi di vita.

E così mamme e neonati hanno dato vita alla tenera e bizzarra competizione. Alla fine alla mamma più "generosa" e al bebè più assetato è andata la medaglia d'oro della World Alliance for Breastfeeding Action, l'associazione internazionale per la promozione dell'allattamento.

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Salvi in extremis i colibrì «diplomatici» dono del Perù

Uno stanziamento del governo a poche ore dal taglio dei fili ha salvato la situazione

80 esemplari, dono del Perù, hanno rischiato di morire: il centro che li ospita non poteva pagare le bollette

Alcuni dei colibrì ospitati a Trieste (Ansa)
TRIESTE - Un'ottantina di colibrì «diplomatici», dono del Perù al governo italiano, ospiti a Trieste del Centro scientifico di Miramare per la salvaguardia di questa specie di uccelli, avrebbero rischiato di morire. Alle 10 di sabato mattina, infatti, sarebbe cessata, per mancato pagamento della bolletta, la fornitura di energia elettrica al Centro, unico riconosciuto in Europa per lo studio di questi animali. «Con il distacco dell'energia elettrica - aveva spiegatp il direttore del Centro, Stefano Rimoli - i colibrì andranno in ipotermia, ipoglicemia, e dopo poco più di mezz'ora entreranno in coma. In un paio d'ore moriranno». Questa ipotesi sembra però essere scongiurata: il ministero dell'Ambiente ha infatti deciso di concedere al Centro un contributo straordinario di 40 mila euro.

«NON MORIRANNO» - «Ora potremo salvarli, i colibrì non moriranno - ha annunciato Rimoli, a meno di 24 ore dalla scadenza dell'«ultimatum», sottolineando come però i debiti della struttura ammontino a circa 200 milioni di euro - Ringrazio il ministro Pecoraro Scanio e sono soddisfatto per la solidarietà che si è creata intorno al Centro e, soprattutto per essere riuscito a salvare i colibri». Della vicenda si erano occupati diversi organi di informazione e anche Le Iene vi avevano dedicato un servizio.

PENURIA DI FONDI - I colibrì presenti a Trieste, oltre ad essere animali a rischio di estinzione, hanno uno status particolare. Sono colibrì sono stati donati nel 2005 dal Perù perchè, nel Centro scientifico triestino, si provvedesse alla loro riproduzione e per realizzare un protocollo di allevamento da trasferire poi in una riserva naturale, già aperta nel Paese sudamericano. «Dal 2005, però - ricorda Rimoli - il governo è stato assente. Abbiamo dovuto rivolgerci alle banche e attingere anche alle nostre tasche per garantire il trasporto degli animali in Italia e il loro mantenimento». Il governo ha rischiato anche conseguenze penali per «maltrattamento di animali, mancata protezione di animali in via di estinzione e distruzione di beni pubblici appartenenti allo Stato».

NUOVI NATI E VIP - Pochi giorni fa nel Centro sono nati tre piccoli colibrì, che hanno ancora gli occhi chiusi. Dovrebbero aprirli lunedì. Della vicenda si erano interessati in passato anche la trasmissione «Le Iene», Margherita Hack, Beppe Grillo, Laura Pausini e altri «vip», che avevano rivolto un appello al ministro dell'Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio. Ma il ministro aveva latitato. Fino allo stanziamento in estremis.

mercoledì 13 agosto 2008

Piazza Castello come Lima 5mila peruviani in piazza celebrano l' Indipendenza


Il 28 luglio del 1821, davanti alla folla di Plaza de Armas, a Lima, il generale José San Martìn y Matorras, sventolando la bandiera del Perù appena liberato dal dominio spagnolo, annunciò la liberacion pronunciando queste parole: «Il Peru da questo momento è libero e indipendente, per la volontà del popolo e per la giustiza di una causa difesa anche da Dio». Da allora sono trascorsi 187 anni e per la prima volta le celebrazioni di quella liberazione varcheranno l' Oceano per arrivare a Torino. La nostra città è la terza in Italia per numero di immigrati peruviani (circa cinquemila) e oggi, in contemporanea con molte altre metropoli da Roma a San Francisco, da Miami all' Australia darà spazio ai propri "ospiti" per le loro «Fiestas Patrias». Quello peruviano-torinese è un popolo soprattutto al femminile (nell' ultimo censimento del 2005 le donne erano oltre 3000), impegnato soprattutto sul fronte della cura della famiglia (infermieri, assistenti ad anziani e bambini, pulizie domestiche), e rappresenta la terza comunità straniera più grande dell' area urbana. I festeggiamenti avranno inizio alle 10, a Palazzo Civico, con il saluto di Comune, Provincia e Regione all' ambasciatore del Perù in Italia, Carlos Rocca. Alla stessa ora, in via Garibaldi, apriranno sei punti di vendita di prodotti enogastronomici tipici, che offriranno per tutto il giorno (fino alle 21) degustazioni e piatti dell' antica tradizione andina (paparellena, seco de res, cabrito, recoto relleno, arroz con leche, alfajores, mazamorra limena e altre prelibatezze). Alle 11, nella chiesa di San Domenico si celebrerà la messa della comunità, mentre alle 12, in piazza Castello si terrà la cerimonia ufficiale, con alzabandiera, esecuzione degli inni nazionali e saluto dell' ambasciatore del Perù. Alle 14, sempre in piazza, prenderà il via invece la festa musicale, animata dai gruppi nati nella nostra città, che accompagneranno balli, animazioni, letture e le varie attività dei 25 gazebo allestiti nell' area pedonale dedicati alle associazioni, agli imprenditori e agli artisti. Tutti gli eventi sono ad ingresso libero. (lor.bar.)
Repubblica — 27 luglio 2008

sabato 2 agosto 2008

Gli Incas nei cieli dei condor La strada nella roccia che s'inerpica sulle Ande

Il Peru': qui l'unita' di misura e' lo smisurato
Fino a qui, queste sono mura costruite dagli Inca», dice la piccola guida andina. Poi sorride, come per scusarsi in anticipo, e prosegue: «Da qui in poi, invece, sono state erette dagli inca-paces».

Siamo al Cuzco, che significa «ombelico», e quindi ombelico del mondo, come racconta Garcilaso de la Vega «el Inca» nel libro che e' la memoria mitica, antropologica e storica del PERU' preispanico, i Commentari reali degli Incas. Con la guida andina siamo sul retro del palazzo di Inca Roca, oggi, molto PERUvianamente, «Museo de arte religioso». Come quasi dappertutto, gli spagnoli hanno costruito il loro palazzo sui resti di una costruzione Inca. E, come quasi sempre nella movimentata storia geologica del PERU', quando nel 1950 e' arrivato un terremoto che ha scosso le montagne per la durata di tre Credo, la parte spagnola e' venuta giu', mentre quella Inca e' rimasta intatta.

In questa specie di malinteso fra architetti, di errore di traduzione fra carpentieri sta una delle chiavi per poter intendere il PERU' di cinquecento anni fa come quello di oggi. Un Paese la cui piu' ovvia unita' di misura sembra esser stata e rimanere lo smisurato, sia che si tratti di poverta' come di ricchezze, di fenomeni naturali come di leggende, di civilta' come di barbarie. Gli Inca e le culture che li hanno preceduti e combattuti sembrano aver interpretato lo smisurato con l'ambizione di scrivere la loro geografia. Hanno trattato «costa, sierra e selva» come se fossero un'unica pagina bianca, grande quanto il mondo. Ambizione ciclopica e paradossale, ma persistente, fino a oggi insistente e trasmessa in qualche modo agli «spagnoli». Popoli che non hanno mai davvero conosciuto la scrittura sono stati in cambio maestri e sacerdoti di geoglifi, segni e simboli tanto grandi che si possono vedere solo dall'alto, fatti per l'occhio e, a giudicare dal poco che ancora ne sappiamo, anche per l'intuito senza ambiguita' del condor e oggi per quello piu' tecnologico e dimesso dell'aereoplano.

A cominciare dalle linee della pampa di Nazca, dove su un'area desertica di 350 chilometri quadrati sono tracciate le gigantesche figure della scimmia, del ragno, della balena, del condor, delle mani, dell'iguana, del colibri', quella antropomorfa dell'astronauta che dal fianco di una collina saluta come ET, e quelle molto piu' misteriose e inquietanti della spirale, delle piazzole geometriche, delle rette lunghe decine di chilometri che guidano l'occhio all'atterraggio. Le vedi solo dall'alto, a bordo di un Cesna portato in giro dal pilota e molto piu' dal vento. Viri, cabri, con lo stomaco fra i denti ti raccomandi all'immagine emaciata di Maria Reiche, l'archeologa tedesca che le ha studiate per quasi settant'anni, vivendo nel deserto, pulendole con la scopa, proteggendole dal vandalismo dei locali e sognando con la fantasia intransigente degli scienziati che fossero il piu' grande calendario astronomico del mondo. Tuttavia, anche cosi', non puoi fare a meno di notare il piu' recente geoglifo, tracciato dagli «spagnoli»: la retta scura della Panamericana Sur, che sfiora il segno delle mani e taglia in due come una spada la coda dell'iguana. Anche questo e' uno smisurato malinteso, un gigantesco errore di traduzione ed e' questo che vede oggi il condor dall'alto. Vede la pianta a forma di puma del Cuzco e le costruzioni coloniali e moderne che la cancellano, vede le scritte elettorali e gli slogan di «orgoglio» nazionalista che l'improbabile e corrotta, politica contemporanea PERUviana incide a caratteri cubitali sui fianchi delle montagne, vede il gigantesco volto dell'Inca scolpito sulle pendici a strapiombo davanti alla citta'-tempio di Ollantaytambo e vede, a Lima, le grandi aiuole sponsorizzate del paseo de la Repubblica dove accuratissimi giardinieri curano con precisione orientale moderni geoglifi tracciati con i fiori: «Chocolate Sol del Cuzco», «Tuboplast», «Grifferia (rubinetteria) Vainsa», «Renzo Costa Pasion por los cueros», «The Salvation Army», «Paginas amarillas». Ma soprattutto, dall'alto, il condor vede il tracciato delle Strade Reali degli Inca che sulle vette «del Ande», come dicono qui, e attraverso incisioni fatte nella roccia e ponti di corda sospesi sull'abisso collegava un tempo Quito, oggi in Ecuador, con il Cile, per una lunghezza di piu' di 800 leghe. Le si puo' percorrere per intero nel bellissimo libro di Victor von Hagen, l'archeologo che le ha riportate alla luce. Erano fra l'altro uno strumento di potere e sapere per l'immenso impero dell'Inca, erano il tracciato che articolava i centri dell'impero, oggi rese secondarie dall'immenso gorgo che deve sembrare Lima dall'alto, con l'alluvione dei suoi otto milioni e mezzo di abitanti, mentre la seconda citta' del PERU', Arequipa, ne conta, a stento, uno. Verso sud, Lima - dove il salario medio e' di 190 dollari al mese e cui un autore PERUviano abbastanza noto, Salazar Bondy, dedico' un libro, Lima la horrible, che stranamente non trovo disponibile in nessuna libreria del centro - si estende e muta come un essere biologico.
Dai palazzi del centro alle costruzioni in corso della periferia, ai tetti di latta dei sobborghi, alle pareti di paglia e canne del deserto che circonda la citta', ai cartelli piantati nel nulla della polvere e della sabbia su cui, enigmaticamente in quel vuoto, sta scritto «Proprieta' privata. Ordine di sparare». Tutte le strade degli Incas non portano a Lima. Non e' necessario, perche' Lima divora anche i sogni dei PERUviani, che spesso non conducono a nulla. Fraintendimenti, malintesi, scolpiti indelebilmente nella scrittura per geoglifi di un Paese che continua a eleggere una classe politica che disprezza e da cui e' vessato e ingannato senza rimedio. Ma anche registrati nella sua storia moderna, che inizia con un riscatto, una cattiva traduzione e il disvelamento di un inganno. Il riscatto e' quello di Atahualpa, valutato, come racconta Antonello Gerbi nel suo grande saggio dedicato al Mito del PERU', nell'incredibile somma di 1.326.539 pesos d'oro e 51.610 marchi d'argento.

Cifra anch'essa smisurata, probabilmente inferiore al vero e comunque incalcolabile per un popolo che si perdette piu' perche' non conosceva la scrittura e la moneta che per il fatto di non aver mai visto cavalli e archibugi. La cattiva traduzione fu quella di Felipillo, indio-lengua, l'ambiguo interprete fra Pizarro e Atahualpa, che se non determino' la sorte di quest'ultimo per interessi personali, di certo la affretto'. L'inganno fu quello di El Dorado, svelato dalla ribellione feroce e disperata di Lope de Aguirre. El Dorado, racconta Gerbi, non solo non esiste, ma non e' neppure un luogo, e' un uomo. Il capo di una nazione Chibcha che, una volta all'anno, dopo essersi cosparso il corpo nudo di una finissima polvere d'oro, si immergeva in un lago e ne risorgeva ripulito, sacrificando quella polvere metallica agli de'i. Un intero continente, maledetto dall'oro, ha cercato con sangue e furore, per decine e decine d'anni, un luogo che era un uomo. Non so perche' questa storia mi sembra attualissima quando sento esterrefatto il discorso che tiene in pubblico davanti a studenti, professori e ospiti italiani una studentessa quindicenne dell'italiano «Colegio Raimondi»: «Scegliamo meglio gli uomini che ci devono rappresentare - dice come una futura presidente - creoli, quechua, aymara, il nostro potenziale non sta in vani progetti in cui nessuno crede ma nella ricchezza che sono le nostre diversita'». Il PERU', e per estensione tutta l'America latina, come luogo di contesti, come pensava il grande scrittore cubano Alejo Carpentier, in cui vanno valorizzati tutti gli aspetti, e non solo, banalmente, di contrasti, in cui prima o poi una parte deve prevalere sull'altra.

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Sezione:Societa' e Cultura
Autore:FRANCO ERNESTO