martedì 29 luglio 2008

In Perù a parlare di coca

Cari Italians,
ho avuto lunghe conversazioni con cittadini peruviani, nel mio recente viaggio in Perù, sull'argomento coca. Nel Paese le foglie di coca si trovano al mercato con le cipolle e i ravanelli. Pare che la coltivazione della coca per il piccolo uso personale (senza pericoli per la salute e senza cadere in dipendenza da narcotico) sia ammessa. Si può bere un «mate de coca» in qualsiasi bar o albergo: ci permette di sopportare meglio «el soroche», o mal di altura. Al ristorante si trova il pane impastato e cotto con foglie di coca sminuzzate: un leggero sapore vicino alle focacce turche alle erbe e nulla più. Si trovano caramelle alla foglia di coca e hanno la stessa funzione del mate.
Ho saputo che per produrre la cocaina è indispensabile una buona dose di acido solforico e pertanto lo Stato sorveglia il commercio di tale acido. Nel tragitto tra Puno (lago Titicaca) e Arequipa ho potuto vedere decine e decine di autocarri a servizio di una miniera, gestita da una compagnia francese, da cui presumo venga estratto rame o qualcosa di simile. La cosa curiosa è che ogni autocarro portava a rimorchio una piccola botte con grande scritta acido solforico. Sarò maligno, ma mi pare che potrebbe quasi un gioco, conoscendo la propensione al guadagno puro e semplice «senza se e senza ma» delle compagnie straniere nello sfruttamento delle risorse locali, dirottare qualche cisterna di acido nelle raffinerie organizzate per la produzione di cocaina. Chiesto a un «campesino» un giudizio sulle foglie di coca, mi sono sentito rispondere: «Le foglie di coca fanno bene, si lavora meglio e passa la fame, ma l'alcol (strizzandomi l'occhio), quello sì che è buono», e mi sono sentito in colpa come i trafficanti di cattivo whisky nelle riserve indiane dell'epopea western che ben conosciamo.

Giorgio Pisetta, pisettagiorgio@virgilio.it
Corriere della Sera

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